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Aziende, i campioni nazionali in Europa

Flavio Valeri
CORRIERE DELLA SERA – 20.01.2023

Caro direttore, quanto riuscirà l‘Europa a restare rilevante stretta fra le nuove tecnologie degli Stati Uniti e la crescita dimensionale della Cina? Una domanda la cui risposta non è facile. Il rischio è essere schiacciati tra le due super potenze e perdere il nostro ruolo storico di leadership economica e politica.


È sicuramente vero che, nell’ ultimo decennio, dal punto di vista dell’ innovazione tecnologica di prodotto e delle dimensioni aziendali, l’Europa ha perso posizioni rispetto a Stati Uniti e Cina. Non vale per tutte le situazioni (è il caso del lusso), ma in generale l’Europa si presenta in quasi tutti settori industriali e di servizi con società che:

a) tendenzialmente sono più piccole rispetto ai concorrenti diretti USA e Cina

b) con un mercato di riferimento domestico limitato e spesso di carattere nazionale

c) con troppi operatori per specifico prodotto o servizio.

In Europa c’è ancora una struttura di mercato che si può definire «multi locale» rispetto al singolo unico mercato USA o Cina. Situazione aggravata da una progressiva liberalizzazione dei mercati molto più avanzata rispetto alle altre due superpotenze mondiali.

È per questo che si sta facendo sempre più strada in Europa l’idea di creare, a partire dai singoli Stati nazionali, campioni continentali capaci di competere alla pari con i loro equivalenti americani o cinesi. Ma se questo progetto dovesse concretizzarsi, quale dovrebbe avere il singolo Stato all’interno dell’Unione europea? E come potrebbe supportare la formazione e crescita di eventuali leader nazionali in Europa?

Per Francia e Germania, vista la loro naturale propensione alla creazione di campioni nazionali, la strada appare chiara, soprattutto a seguito prima della crisi pandemica e poi energetica. È per questo che anche per l’Italia servirà avere un quadro di riferimento e una chiara strategia-Paese.

Negli ultimi trent’anni alcuni gruppi privati, partendo dall’Italia, hanno raggiunto una dimensione di leadership europea e talvolta mondiale, grazie alla lungimiranza dei loro fondatori. Vale per i successi nell’occhialeria, nella logistica marittima, alimentare e distribuzione farmaceutica che ne sono forse gli esempi migliori.

Per quel che riguarda invece la performance delle società con (co)presenza dello Stato nel capitale, il risultato è stato più variegato: in alcuni settori, come il trasporto aereo, o la chimica non siamo andati bene. Abbiamo speso denaro pubblico in campi dove ormai sarà impossibile ottenere una posizione di leadership europea. Ce ne dobbiamo fare una ragione.

Vi sono però anche delle consolidate eccellenze partecipate dallo Stato Italiano – azionista di maggioranza assoluta o relativa, di società quotate e non. Gli esempi migliori sono nel settore petrolifero, nella produzione di elettricità, nella infrastruttura distributiva energetica, nella cantieristica civile e militare, nella difesa e nel trasporto Ferroviario.

In tutti questi casi, le società italiane hanno già raggiunto posizioni consolidate e si candidano ad essere dei leader assoluti in Europa. Di fronte a eventuali progetti di crescita organica o straordinaria, sarebbe quindi opportuno che lo Stato considerasse di accompagnare questi operatori nel loro percorso.

Non si tratta di statalismo che si evoca, quanto di supporto strategico, politico e finanziario a un numero selezionato di società già eccellenti che si candidano a diventare o consolidarsi come leader in Europa, e potenzialmente nel mondo: i cosiddetti campioni nazionali.

Il loro rafforzamento accrescerebbe le già positive ricadute in termini di investimenti in ricerca e sviluppo, innovazione tecnologica, rapporto con le università e le comunità di appartenenza. Oltre a rendere evidente una spesso sottovalutata leadership del nostro Paese, anche dimensionale, in settori industriali decisivi per il posizionamento geopolitico dell’Italia in Europa e nel mondo.