Menu Chiudi

Campioni da pompare

Andrea Cabrini
MILANO FINANZA – 28.01.2023

Valeri (Lazard) esorta l’Italia a mettersi al fianco dei suoi colossi industriali. Anche appoggiando aumenti di capitale per far diventare i giganti nazionali competitivi sui mercati europei.


“Il Paese deve scendere in campo al fianco dei propri campioni nazionali. Da Enel a Eni, da Ferrovie a Leonardo, fino a Terna o Snam ed Fs, abbiamo imprese eccellenti che operano in settori chiave dove l’Italia può giocare da protagonista. Ma devono diventare ancora più grandi, il punto di riferimento in Europa nei loro settori, e per farlo serve una nuova politica industriale che le affianchi per permettergli operazioni di sviluppo e consolidamento mirate. Anche appoggiando importanti aumenti di capitale, se necessari”. Flavio Valeri, banchiere di lungo corso, in Italia ha guidato Deutsche Bank e ora presiede Lazard. La sua riflessione sulla urgenza di uno slancio per rafforzare i colossi italiani nasce proprio dalla conoscenza di come Germania e Francia si sono mossi a sostegno delle proprie imprese leader. E arriva nei giorni in cui l’Europa sta prendendo decisioni importanti sugli aiuti di Stato e il nuovo “Net Zero Industry Act”.

Domanda: Valeri, il pacchetto aiuti alle imprese americane varato dal presidente Biden (Inflation Reduction Act) ha scosso l’Europa, che ora vuole rispondere sullo stesso piano. Cosa c’è in gioco?

Risposta. Si tratta di una distorsione di mercato, ma bisogna guardarla in prospettiva. Arriva dopo un decennio in cui le dimensioni economiche e geopolitiche delle aziende americane e cinesi sono molto cresciute. L’innovazione tecnologica negli Usa e l’ampiezza del mercato cinese hanno creato colossi. Le aziende europee sono rimaste indietro.

D. Come si recupera?

R. Con un intervento dello Stato che selezioni i propri campioni nazionali, e li sostenga in termini di politica industriale e finanziari. Serve concentrarsi nei comparti dove ci sono già delle eccellenze e cercare di far crescere i nostri leader mettendoli in grado di far concorrenza ad americani e cinesi.

D. A quali settori pensa?

R. Innanzitutto a quelli nei quali lo Stato è già azionista, con imprese quotate o non che hanno una leadership europea.

D. Facciamo qualche nome.

R. Penso alle attività di Eni e Enel. E poi Ferrovie, così come tutto il mondo delle infrastrutture energetiche nazionali, da Terna a Snam passando per Italgas. Per non parlare della difesa, con Leonardo. Sono tutti settori dove l’Italia parte da un livello estremamente competitivo.

D. Cosa servirebbe?

R. Queste aziende vanno dotate di strumenti finanziari e sostenute a livello politico. Perché c’è bisogno anche di questo. I capitali vanno affiancati a un sostegno da parte del Governo, per mettere i grandi gruppi in grado di giocare la propria partita sullo scacchiere mondiale.

D. Finora l’intervento statale in Europa è stato rigidamente regolato, per non introdurre squilibri tra Paesi. Poi pandemia e guerra hanno cambiato la situazione. Aziende importanti come Edf in Francia e Uniper in Germania sono state nazionalizzate. Gli Stati sono sempre più interventisti. Da banchiere ed uomo di mercato, è contento?

R. Ci siamo formati tutti, negli ultimi 10-15 anni, nell’ambito di una narrativa liberista che voleva sempre meno Stato nell’economia. Abbiamo tutti studiato e lavorato in questo contesto culturale. Ma la situazione è cambiata. A causa del Covid, ma anche della guerra.
Ed è necessario cambiare anche questo paradigma.

D. Ora tutti rimpiangono l’Iri, ma la storia degli interventi statali nella economia in Italia è lastricata anche di sprechi e scandali.

R. Vero. Gli aiuti concessi al comparto chimico (Enimont) o ad Alitalia sono stati un fallimento, ma qui non si tratta di dare soldi a pioggia, come è stato fatto negli anni Settanta o nel decennio successivo. La strategia da mettere in atto è l’esatto contrario. Vanno selezionate con cura le aziende top su cui puntare e darsi degli obbiettivi importanti nei settori giusti.

D. I soldi ci sarebbero?

R. Le difficoltà di bilancio del Paese sono note, ma se una delle aziende che ho citato avesse un programma di crescita organico, che preveda fusioni o acquisizioni, o magari obbiettivi di espansione in nuovi mercati, allora lo Stato dovrebbe considerare la possibilità di fornire il supporto finanziario o di equity adeguato, anche in termini di aumenti di capitale.

D. Ma pensa che il pubblico debba prendere il controllo di alcune partecipate? Diverse sono quotate.

R. Non sto dicendo che lo Stato debba aumentare la quota nel capitale, ma che queste aziende potrebbero avere bisogno di garanzie per supportare i propri progetti industriali. Non intendo solo sul piano finanziario, ma anche su quello politico. Immaginiamo il momento in cui in Europa si dovesse aprire la discussione sul futuro degli operatori energetici: tra shale gas, infrastrutture, produttori di elettricità, si tratterà di una discussione anche politica. Ed è su questo che servirà il supporto del Governo.

D. Gli altri in Europa non staranno a guardare.

R. Si passerà attraverso joint venture, degli accordi che stabiliscano pesi e misure dei vari Paesi. Ma non mi aspetto più dei “Niet” come ci sono stati in passato. Possiamo creare campioni mondiali nella cantieristica, o nella difesa, un settore in cui il budget dedicato crescerà dall’attuale 1,7% del pil a oltre il 2. Penso che sarà l’Europa a rendersene conto e in quel momento il Governo avrà un ruolo primario nel sostenere le nostre imprese.

D. Meloni ha lanciato un piano ispirato proprio a Mattei, fondatore dell’Eni.

R. Sono assolutamente a favore della sua impostazione. E la visione di Mattei, a cui si ispira, riguardava proprio la creazione di campioni nazionali. Il Governo fa bene a indirizzare la discussione su questi temi. E la prossima fase sarà scegliere, oltre al gruppo di Descalzi, gli altri soggetti su cui puntare per garantirgli un ruolo di leadership in Europa e poi nel mondo.

(Ha collaborato Afolfo Valenti)