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Vademecum per il dialogo Roma-Berlino

Recensione del libro Italia e Germania: l’intesa necessaria per l’Europa di Giuliano Amato

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Rapporti bilaterali. Le relazioni tra Italia e Germania dal punto di vista economico, politico e culturale, tra valori, stereotipi e alcune virtù tedesche cui ispirarsi.

I tre autori si sono divisi i compiti per parlarci dei rapporti fra Italia e Germania: Valeri si occupa dei rapporti economici, Romano di quelli politici e Niglia di quelli tra le due culture nazionali. Il loro intento è favorirli e fluidificarli questi rapporti e in vista di ciò si danno tre obiettivi: rimuovere gli stereotipi, che ci dipingono gli uni contro gli altri armati, dare soprattutto agli italiani un vademecum che consenta relazioni più costruttive, offrire infine luoghi e temi di dialogo.

La lettura è sempre piacevole e in poco più di cento pagine sono davvero molti i temi che ci passano davanti. Intanto c’è l’intensità delle relazioni economiche, con un interscambio fra i due Paesi che non solo è bilanciato (esportazioni e importazioni per entrambi più o meno si equivalgono), ma è così elevato da superare, per noi, quello che abbiamo con Francia e Spagna messe insieme. In più, mentre i rapporti fra Francia e Germania, compresi quelli economici, sono regolarmente mediati o promossi dalla politica, quelli fra noi e i tedeschi si sviluppano e si mantengono a prescindere dalla politica, per azioni e intese di mercato che avvengono fra operatori, spinti gli uni verso gli altri esclusivamente dalle loro convenienze.

Basta questo a dare uno scossone agli stereotipi. Così è per l’asse preferenziale franco-tedesco, che sarà anche un asse, ma forse è frutto, non tanto di preferenza, quanto della necessità di evitare e prevenire ostilità e disaccordi; necessità che evidentemente non c’è nei rapporti con noi. E che dire dell’altro stereotipo, quello dei tedeschi che ci guardano dall’alto in basso e diffidano di noi, capaci di spendere e spandere, ma non di costruire? Certo non è questo ciò che i tedeschi pensano delle nostre imprese, perché non ne comprerebbero i prodotti in volumi tanto elevati, né sarebbero numerose come invece sono le imprese italiane inserite in catene produttive con capofila in Germania.

Attenzione però – ci dicono i nostri stessi autori – non esageriamo in senso opposto. Fra noi e i tedeschi vi sono diversità che restano, che negli ultimi anni si sono accresciute (grazie anche al nostro pesante debito pubblico) e che non si limitano a nutrire stereotipi magari sbagliati. Di qui la necessità di prenderne atto e di metterci in condizione di gestirle. È vero che la Germania ha un autentico culto per l’ordine e per le regole con le quali è possibile assicurarlo, un culto lontano dalla nostra mentalità come da quella dei francesi, molto più tolleranti della discrezionalità nella sfera pubblica e di un relativo disordine in quella privata. È vero che per questa ragione la stabilità in Germania è un valore da secoli ed è a una tale radice, più ancora che alle vicende del primo dopoguerra del secolo scorso, che va fatto risalire l’orrore tedesco per l’inflazione.

È vero che il terreno su cui, nonostante le nostre qualità, i produttori tedeschi ci hanno spesso superato, è quello dell’efficienza, efficienza nel rispetto dei tempi e nella qualità dei prodotti (il dieselgate è stato un vero e proprio tradimento nazionale, per la coscienza tedesca). Ho appreso da questo libro che Angela Merkel, rispondendo a chi le chiedeva che cosa esemplificava meglio le qualità tedesche, una volta rispose: «una finestra», chiaramente pensando alla tenuta degli infissi, alla bontà delle serrature, al riparo fornito dai doppi vetri.

Diversi, dunque, da noi e diversi anche nel lato romantico della loro cultura, che si esprime nel loro amore per la (loro) musica, come nella loro commozione davanti alle migliaia di profughi siriani in cammino sull’autostrada, ai quali vanno incontro e di cui accettano (salvo poi forse pentirsene) che la Cancelliera li ospiti tutti in Germania. Viene lasciato al lettore il confronto con il nostro sentimentalismo e con ciò che ne deriva sulle nostre scelte e i nostri comportamenti.

Certo si è che il succo del libro è un invito a noi a capire meglio i tedeschi e ad apprendere almeno alcune delle loro virtù. Condivido l’invito, condivido i benefici attesi per l’Europa (i progressi dell’integrazione hanno sempre contato e dovranno ancora contare su intese italo-tedesche) e condivido la stima che dobbiamo alla Germania per il ripudio del passato nazista e per le forti radici che ha saputo dare alla democrazia nel secondo dopoguerra.

Un’osservazione però la devo fare sull’ultimo capitolo, quando si contesta la “verginità” che noi italiani ci saremmo dati sollevandoci contro il fascismo. No, una verginità certo non ce la siamo data, ma una Resistenza, che in Germania non è riuscita ad esserci, noi l’abbiamo avuta e ad essa e all’élite antifascista che ne è uscita dobbiamo una differenza che c’è fra Germania e Italia: l’una con una Costituzione deliberata da un piccolo consiglio di rappresentanti dei Lander sotto la vigilanza dei governi alleati. L’altra con una Costituzione frutto esclusivo di una Assemblea, sovranamente eletta dal nostro popolo. Di ciò mi si lasci l’italico orgoglio.

© Il Sole 24 ore 2021