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Valeri: «La banca del futuro? Sulle piattaforme digitali»

CORRIERE DELLA SERA – 16.09.2019

Leggi l’articolo originale su Il Corriere della Sera


Il problema è noto: «In Italia siamo ancora poco digitali – esordisce Flavio Valeri condividendo un’inchiesta del Corriere da cui emerge che un italiano su tre non usa Internet -. La questione, tuttavia, non è la digitalizzazione, bensì capire quando avverrà il grande salto». Secondo l’amministratore delegato di Deutsche Bank in Italia «non manca molto tempo. Adesso è il momento di decidere quando, quanto, come e dove investire». La tecnologia sta stravolgendo il mondo delle banche. L’avanzata delle Fintech, delle Gafa (Google, Apple, Facebook, Amazon) e delle Bat (Baidu, Alibaba, Tencent, gli over the top cinesi) e la continua crescita delle startup nei servizi finanziari, è impetuosa e il rischio di dover via via cedere a loro pezzi di business è concreto. «La digitalizzazione sta cambiando strutturalmente i modelli di business delle aziende e anche nelle banche sta succedendo – spiega -. Negli ultimi 5 anni le visite mensili dei clienti allo sportello sono diminuite di oltre il 40% e la quota di clienti che oggi utilizza l’home banking è più che raddoppiata».

Noi seguiamo o siamo ancora solo osservatori di quello che fanno gli altri…
«L’Italia purtroppo è un po’ in ritardo, abbiamo poca attitudine digitale e in Europa siamo il fanalino di coda, ma non sono pessimista».

Crede possibile un’accelerazione che consenta di recuperare questo ritardo?
«Il mercato italiano è prevalentemente composto da clientela retail e da piccole e medie imprese, un assetto che tipicamente porta a un processo di digitalizzazione molto diffuso, un po’ come accadde con i cellulari 15 anni fa: all’inizio in Italia lo avevano in pochi, poi in pochissimi anni siamo diventati primi al mondo per numero di terminali pro capite».

Non crede che uno dei fattori che ha frenato la digitalizzazione nelle banche sia anche il timore per la perdita di altri posti di lavoro tra i bancari?
«Il problema occupazionale c’è, ma i rischi non sono solo quelli che molti percepiscono. Ho letto un’intervista al segretario generale della Fabi (il principale sindacato dei bancari, ndr ), Lando Sileoni, e mi trovo d’accordo con lui quando dice che questa trasformazione, che sarà veloce e dirompente, va gestita. Serve però un piano per aumentare le competenze tecniche, riqualificare il personale e portare in banca figure nuove come data scientist e ingegneri programmatori. Un obiettivo non certo facile».

Come sarà la banca del futuro?
«La digitalizzazione trasformerà il mondo bancario in un mondo di piattaforme su cui saranno offerti tutti i prodotti. Un modello open product che si baserà su tre tecnologie: Api (Application programming interface, ndr), tecnologia che semplificando l’accesso di terze parti ai dati delle banche è fondamentale per creare piattaforme proprietarie aperte; l’intelligenza artificiale attraverso cui, per esempio, si profileranno i clienti o verrà offerta consulenza nel risparmio gestito (roboadvisor). Infine la blockchain che permette di creare e gestire in sicurezza enormi data base distribuiti. L’uso di queste tre tecnologie trasformerà strutturalmente le banche in piattaforme».

E quale sarà l’impatto sui clienti?
«Il cliente è il grande vincitore. Starà a noi banche ristrutturarci e diventare piattaforme digitali aperte al suo servizio».

Con quali costi?
«Gli investimenti sono ingenti. Oggi, in generale, le banche investono circa il 10% dei ricavi in IT, di cui i 2/3 vengono destinati ai sistemi attuali e un 1/3 alle nuove tecnologie. Nel piano triennale Deutsche Bank ha stanziato 13 miliardi di euro solo per i sistemi IT. È la sfida principale per il nostro futuro».

C’è tuttavia il rischio che le cosiddette «Over the top» vi portino via clienti, a maggior ragione dopo il varo della direttiva Psd2 che obbliga le banche a fornire i dati a terzi. Il nemico è entrato in casa…
«È indubbio che il problema Bat e Gafa esiste: dopo aver insegnato al mondo a comprare online servizi e beni adesso stanno pensando di entrare nel settore finanziario. Hanno già le piattaforme di distribuzione migliori e più utilizzate al mondo. Credo che la soluzione ideale sia sedersi attorno al tavolo e trovare tra di noi banche forme di collaborazione, cioè sviluppare piattaforme condivise e recuperare il ritardo. Le piattaforme bancarie paneuropee potrebbero portare in dote un mercato da 300/400 milioni di consumatori».

Da noi le banche come sono messe su questo fronte?
«Le banche italiane fino ad oggi hanno avuto importanti priorità da affrontare: la gestione degli Npl, la riduzione dei costi operativi e solo infine gli investimenti in IT che non sono stati residuali, ma su cui le banche ad oggi hanno potuto allocare solo risorse limitate. Il ritardo è dovuto anche a questo. E va ancora affrontato il tema della sicurezza digitale delle piattaforme, la cybersecurity».

Altri investimenti…
«Inevitabili e potenzialmente più costosi di quelli relativi alla digitalizzazione. Una banca da sola non può certamente farcela. Ma la sicurezza delle infrastrutture è una questione nazionale, non solo aziendale».

E quindi chi dovrebbe occuparsene?
«La cybersecurity richiede investimenti molto significativi e credo sia opportuno portare il discorso a livello di Ue. La collaborazione e il supporto richiesto alle agenzie di sicurezza nazionale ed europee è una grande priorità».

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